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La tensione fasciale:

un fattore nascosto, responsabile del mantenimento delle problematiche corporee

prefazione

Talvolta, nonostante le varie terapie effettuate, permane un senso di malessere, disagio o dolore, difficilmente riconducibile a lesioni o squilibri specifici

i tessuti fasciali ed il movimento

La fascia connettivale circonda e avvolge ogni struttura corporea. Ogni osso, ogni muscolo, ogni organo, ogni vaso sanguigno o linfatico, ogni nervo è circondato da un sottile strato di tessuto connettivo con il compito di sostenerlo e proteggerlo. Ognuna di queste strutture non rimane però isolata nella sua “tasca connettivale”, ma, grazie proprio alla fascia si interconnette con le altre strutture creando un continuum, uno strato connettivale, senza soluzione di continuità, che ricopre e si struttura all’interno dell’intero corpo, dalla testa ai piedi.

La fascia costituisce il periostio che circonda le ossa, il pericardio intorno al cuore, il rivestimento esterno dello stomaco e degli intestini, il tessuto sinoviale intorno alle articolazioni, e può assottigliarsi od ispessirsi, a seconda delle esigenze meccaniche o funzionali del corpo, per formare sottili rivestimenti o tasche, borse con azione di ammortizzatori o retinacoli in ogni parte del corpo. La fascia non solo costituisce il rivestimento delle strutture corporee, ma penetra all’interno, profondamente, in molte di esse: ad esempio ogni  muscolo possiede un rivestimento fasciale esterno, il perimisio, da cui si dipartono internamente setti che rivestono ogni fascio di fibre muscolari ed ogni fibra muscolare individualmente (endomisio).

Pertanto la fascia penetra profondamente in queste minute strutture, ma, contemporaneamente, mantiene una connessione con tutti gli altri tessuti fasciali. Questo network fasciale, questa rete tridimensionale diventa di particolare importanza da un punto di vista funzionale, in quanto, essendo la fascia una struttura elastica a tensione reciproca, ogni trazione, stiramento o limitazione a livello locale viene automaticamente ridistribuito sull’intero sistema.

Possiamo immaginare la trasmissione di questa energia meccanica come quella di un’onda che si forma gettando in acqua un sasso, onda che diffonde la propria energia circolarmente intorno a sé, riducendo la propria intensità mano a mano ci si allontana dal punto di creazione dell’onda stessa.

Tradizionalmente, soprattutto nella considerazione anatomica e fisiologica, la fascia viene considerata un tessuto inattivo di scarsa importanza, in quanto le si attribuisce prevalentemente la funzione di permettere lo scivolamento fra differenti strutture, quali lo scorrimento dei muscoli fra di loro o sopra le ossa, o degli organi fra loro. Oppure lo scivolamento del connettivo sottocutaneo, cioè della fascia superficiale, sui piani più profondi. 

In realtà essa gioca un ruolo molto importante nella visione kinesiopatica ed osteopatica del corpo umano: grazie alla sua azione di legante fra i vari distretti e segmenti corporei, la fascia diviene fondamentale nell’assorbimento o nel mantenimento di tensioni o traumi, con conseguenti squilibri anche sistemici. Risulta evidente che la gravità dell’azione sistemica dipenderà da molti fattori quali l’intensità  e la quantità di restrizioni fasciali presenti, la presenza di indebolimenti corporei dovuti a concomitanti malattie o a precedenti traumi.

Recenti studi ed intuizioni, inoltre, riconoscono alla fascia anche un ruolo attivo nei processi metabolici e biochimici, sia a livello locale che sistemico. Le cause di lesione fasciale possono essere molteplici: dalle semplici “sbucciature” o microstiramenti fino a lussazioni, torsioni, aderenze o cicatrici fino ad infiammazioni interne od esterne.

l'unwinding fasciale: la liberazione delle restrizioni

Il perdurare della restrizione fasciale, comunque, al di là della causa scatenante, può diventare l’origine di una patologia disfunzionale sistemica con sintomatologie anche importanti e non sempre significativamente correlate alla lesione iniziale: mal di testa o di schiena, dolori al collo o torcicolli acuti, crampi, gomito del tennista, tendenza alla distorsione delle caviglie o di altre articolazioni, disturbi o dolori mestruali, febbricola, dolori ai denti, occhiaie sono solo alcuni dei sintomi che si possono sviluppare.

Occorre non dimenticare che, oltre ai fattori chimico/fisici e meccanici, anche le tensioni di origine emotiva possono ripercuotersi significativamente a livello fasciale: quando viviamo delle emozioni, esse sono invariabilmente accompagnate da modificazioni ormonali e risposte muscolo-tensive; quando proviamo paura, rabbia, gioia il nostro corpo si adatta per permetterci di esprimere queste emozioni. La gioia viene accompagnata spesso da fenomeni vasodilatativi e  da un rilassamento generalizzato, mentre la rabbia/difesa si manifesta con un aumento delle catecolamine circolanti, i neuro-ormoni dello stress, e con una risposta muscolo-tensiva generalizzata, con prevalenza dei distretti interessati dal meccanismo di difesa.

Forti emozioni, soprattutto se il corpo non riesce a trovare un modo naturale per “scaricarle”, o situazioni prolungate di stress emotivo, possono lasciare “cicatrici” a livello fasciale.

L’allentamento delle tensioni fasciali è possibile attraverso una tecnica definita “fascial unwinding” o più semplicemente unwinding: questa parola inglese indica srotolare, svolgere, svitare rilassare. Possiamo immaginare la fascia “attorcigliata” come un collant su una gamba: durante l’uso, nel muoversi, nel camminare, nel compiere le azioni di ogni giorno, si muove perdendo la sua aderenza con la gamba. L’unwinding è paragonabile all’azione di correggere questa situazione fastidiosa.

L’unwinding è in grado di riconoscere, identificare e liberare gli effetti di tutte le tensioni o i traumi fasciali, siano essi recenti o antichi, favorendo il recupero dell’elasticità all’intero sistema corporeo e, quindi, facilitando la rimozione di malfunzionamenti organici, malesseri o dolori agendo alla radice, indipendentemente dalle cause scatenanti. Questa tecnica può essere, infatti, significativamente efficace non solo in caso di dolori cronici od acuti di origine tensiva o traumatica, ma anche per “contattare” i piani emozionali, con particolare efficacia in quei casi in cui esiste una associazione fra trauma emotivo e trauma fisico.

Da un punto di vista Kinesopatico, il ricordo delle esperienze emotivamente significative viene immagazzinato nella fascia: il ricreare lo stesso modello spaziale e la stessa tensione a livello fasciale favorisce la ricostruzione del quadro sinaptico facilitando l’emergere del ricordo; in altre parole, quando il corpo ricrea la posizione e la tensione  presenti in una situazione emotiva del nostro passato, che ha lasciato segni su di noi, il ricordo fisico/emotivo, l’ologramma (immagine tridimensionale) di noi stessi, ricompare nella nostra mente ed è possibile a quel punto facilitarne la liberazione.

La diagnosi delle tensioni fasciali è in grado pertanto di identificare e trattare con precisione le alterazioni che sono alla base dei malesseri e, talvolta, di rivelare squilibri prima che possano trasformarsi in patologie disfunzionali.  

L’unwinding fasciale è una metodica estremamente delicata e non invasiva che presuppone la capacità da parte del terapista di rispondere in modo appropriato ai bisogni del corpo di allentamento dalle proprie tensioni: il procedimento avviene attraverso la facilitazione della naturale liberazione, senza coercizioni sul corpo o forzando le situazioni in nessun modo, rivelandosi quasi sempre indolore (talvolta il dolore può rivelarsi in situazioni acute) creando un generale senso di benessere, rilassamento e distensione, accompagnato da profonde modificazioni degli stati tensivi. La delicatezza di questo trattamento può essere compresa, in realtà, soltanto dall’esperienza diretta.

Il terapista identifica, in via primaria, l’origine della restrizione fasciale ponendo le mani sul corpo, come per ascoltare i tessuti, percependo le tensioni, le trazioni che si manifestano nella fascia stessa: l’impressione può essere quella che tutte le tensioni e trazioni percepite in questo modo indirizzassero l’attenzione  verso un punto focale, come fili metallici  attratti verso un magnete. Il ricorso a differenti “punti di ascolto”, permette al terapista di crearsi una “visione” attraverso differenti prospettive, permettendogli di costruirsi una immagine del corpo dove coesistono aree di tensione e restrizione ed aree in cui esiste una grande mobilità e libertà del tessuto fasciale.

Una volta identificata l’area focale o un’area di restrizione che è opportuno trattare, il terapista prende contatto con entrambe le mani con quella parte del corpo più appropriata per permettere l’unwinding fasciale, si sintonizza nuovamente con la fascia e comincia a seguire i movimenti spontanei di liberazione che si verificano, adeguando il proprio contatto ai movimento di torsione, rotazione, trazione che il corpo esprime.

Spesso, per un osservatore esterno, terapista e paziente appaiono immobili, in quanto i movimenti possono sembrare impercettibili; altre volte il corpo si libera attraverso movimenti ampi, macroscopici. Mano a mano che il processo di unwinding si sviluppa, il corpo comincia  a manifestare le sue aree di maggiore restrizione, identificabili dal terapista come un punto di resistenza che impedisce il movimento fluido ed armonioso, come una barriera che frena lo scorrere di un liquido: a quel punto la concentrazione del terapista è focalizzata sul mantenere  il contatto con quella barriera fino al percepire la resistenza dissolversi, quasi sciogliersi in un movimento di assestamento che preclude ad un senso di libertà e mobilità del tessuto, spesso accompagnato da una sensazione di piacevole calore, mentre l’impressione generale può risultare un senso di maggiore armonia ed equilibrio del corpo, accompagnato da una sensazione di benessere da parte del paziente. Talvolta dopo una prima liberazione il corpo richiede immediatamente l’attenzione del terapista dando luogo ad una serie ripetuta di movimenti di allentamento, accompagnati dallo sciogliersi di numerose barriere.

Questo trattamento può essere compiuto su ogni parte del corpo, sul collo, su un arto, sul tronco, su un organo addominale o toracico: la differenza consiste che mentre nel trattamento del tronco o delle componenti organiche, i movimenti risultano spesso impercettibili, avvengono all’interno del tessuto fasciale, nel trattamento di un arto o del collo, molto spesso i movimenti sono visibili e le liberazioni avvengono con movimenti che ricordano quelli necessari per dipanare un gomitolo, come se il corpo si permettesse di compiere una strana danza nello spazio, ricreando quei movimenti che hanno causato la tensione, o riscoprendo quelle posizioni nel quale era stato subito un trauma.

Nella nostra pratica, più di una volta è accaduto che un braccio dolente, fortemente limitato nei movimenti, spontaneamente, senza alcun dolore, raggiungesse il punto di maggiore escursione, e che la persona trattata ricordasse un incidente o un movimento dopo il quale erano cominciati i dolori. O, talvolta, trattando un problema di torcicollo o di mal di testa, la testa, tramite l’unwinding, cominciasse a muoversi come per dire ripetutamente no e che interrogando il paziente questi riconoscesse come l’essere incapace di dire no era un suo problema.

Il movimento comunque preclude sempre a identificare le aree di restrizione, le barriere, quei punti di immobilità, di arresto del sistema in cui sono radicate le vere tensioni fasciali, fino a trovare quel punto che permette la dissoluzione di ogni tensione; poteremmo paragonare i movimenti ai mulinelli circolari di un ciclone e l’immobilità al suo occhio, vero centro focale della manifestazione.

La libertà e la mobilità della fascia e, ovviamente, dei tessuti che essa ricopre, non deve essere vista come la possibilità di compiere ampi movimenti: la mancanza di tensioni o restrizioni rappresenta la capacità fasciale di rispondere in modo elastico ad ogni stimolo, ad ogni esigenza di adattamento dei tessuti.

A livello tissutale, ogni area di rigidità fasciale preclude alla formazione di alterazioni dell’ambiente cellulare: si crea cioè un’alterazione del nutrimento e del ricambio a livello della cellula, la formazione di un ambiente con scarso apporto di ossigeno e quindi tendenzialmente acido, dove i processi di scambio cellulare sono rallentati o difficoltosi. Si forma in sintesi un’area che possiamo definire una cisti energetica, che impedisce a quella parte di integrarsi completamente nel corpo.

Non dimentichiamo che il corpo subisce impercettibili fasi di espansione e contrazione ogni minuto.

Provate ad immaginare uno stomaco incapace di adeguare il suo volume a quello che state mangiando, o di un intestino alla massa delle feci; pensate a quanti disturbi queste due situazioni potrebbero comportare. O all’impossibilità di una articolazione, una spalla ad esempio, di potersi esprimere in tutta la sua libertà di movimento. O la vescica urinaria che a causa di aderenze e irrigidimenti fasciali non può più espandersi per contenere l’urina prodotta.

Ma possiamo andare a livello ancora più microscopico. Provate ad immaginare un’arteria od una vena incapaci di espandersi o contrarsi, di essere cioè elastici, per accompagnare le variazioni ematiche.

La libera circolazione dell’energia, in ogni sua forma, nell’ambito dei tessuti, è una delle condizioni indispensabili per il mantenimento dell’armonia corporea e della salute. L’unwinding, come ogni altra tecnica non invasiva mirata al riequilibrio dell’individuo nel suo insieme, è uno degli strumenti fondamentali per ritrovare il benessere.

N.B.: l'immagine finale è tratta dal libro: Jean-Pierre Barral - “Visceral Manipulation” Eastland Press

francesco gandolfi

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